La sentenza n. 18/2019 della Corte Costituzionale, che giudica illegittimo l’art. 1, comma 714, della Legge n. 208/2015, che consentiva agli enti locali di riformulare il Piano di riequilibrio pluriennale scorporando dal disavanzo la quota derivante dal riaccertamento straordinario dei residui attivi e passivi, spalmandola su 30 anni, stabilisce che la norma violi numerosi articoli della Carta Costituzionale. Tra le altre cose, essa sottrae gli amministratori alla responsabilità nei confronti dell’elettorato, non assolve al dovere di solidarietà nei confronti delle future generazioni e non contribuisce a rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che limitano la libertà e l’uguaglianza dei cittadini.
Una parte della città di Messina ha contrastato il Piano di riequilibrio pluriennale. Lo ha fatto ritenendo che quel documento rappresentasse un condono per coloro che avevano causato il disastro. Lo ha fatto ritenendo che fosse ingiusto trasferire alle future generazioni debiti che queste non avevano contratto e che, a fronte della crisi economica, sarebbe stato impossibile onorare. Non è un caso se tutti i partiti e gran parte del ceto politico-amministrativo abbiano appoggiato e stiano appoggiando quella strategia. I partiti e il ceto politico-amministrativo tende ad auto-assolversi e ad auto-riprodursi. Per i partiti (tutti) e per quegli amministratori che si avvicendano nei luoghi della rappresentanza politica e ai vertici dei tanti enti para-pubblici che generano indennità e flussi finanziari da gestire quello che conta è il presente. Dal presente si ricavano guadagni e potere. Del passato chi se ne frega. Il futuro lo pagheranno altri.
La sentenza n. 18/2019 della Corte Costituzionale, che giudica illegittimo l’art. 1, comma 714, della Legge n. 208/2015, che consentiva agli enti locali di riformulare il Piano di riequilibrio pluriennale scorporando dal disavanzo la quota derivante dal riaccertamento straordinario dei residui attivi e passivi, spalmandola su 30 anni, stabilisce che la norma violi numerosi articoli della Carta Costituzionale. Tra le altre cose, essa sottrae gli amministratori alla responsabilità nei confronti dell’elettorato, non assolve al dovere di solidarietà nei confronti delle future generazioni e non contribuisce a rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che limitano la libertà e l’uguaglianza dei cittadini.
Secondo la Corte Costituzionale “la responsabilità degli amministratori che hanno procurato il deficit sarebbe stemperata per un lunghissimo arco generazionale, in modo da determinare una sorta di oblio e di immunità a favore dei responsabili”. Esattamente ciò che per anni abbiamo cercato di spiegare ad Accorinti e compagni, che a parole brandiscono la Costituzione come una clava, ma che poi ne disattendono gli aspetti più pertinenti ai bisogni degli abitanti dei luoghi che sono stati chiamati ad amministrare, corrispondendo, da questo punto di vista, ad una prassi politica consolidata che distingue la propaganda dall’assunzione di responsabilità nell’applicare quanto annunciato in campagna elettorale.
Nel descrivere la norma giudicata illegittima come strumento per aggirare lo stato di dissesto dell’ente e nel sottolineare la pericolosità di comportamenti che finirebbero per gravare più pesantemente sulle fasce deboli della popolazione, la Corte Costituzionale chiarisce che “il succedersi di norme che diluiscono nel tempo obbligazioni passive e risanamento sospingono inevitabilmente le scelte degli amministratori verso politiche di corto respiro, del tutto subordinate alle contingenti disponibilità di cassa” e che “la procedura del predissesto non può essere procrastinata in modo irragionevole, dovendosi necessariamente porre una cesura con il passato così da consentire ai nuovi amministratori di svolgere il loro mandato senza gravose eredità”.
La Sentenza sottolinea, inoltre, in ossequio all’art. 119, sesto comma, della Costituzione che l’indebitamento debba essere finalizzato unicamente agli investimenti. Il progressivo allungamento dei tempi di rientro fa sì, invece, che il debito venga pagato da generazioni che non hanno fruito delle ragioni per i quali esso è stato contratto. D’altronde è quanto avvenuto con la ristrutturazione in equivalenza finanziaria dei Mutui del Comune. Molto banalmente, mentre nel mondo normale i genitori fanno sacrifici per lasciare le casa ai propri figli, nel mondo irresponsabile degli amministratori ai figli vengono fatti pagare i debiti contratti dai padri.
E’ evidente che lo stato di indebitamento nel quale versano gli enti locali non possa essere sanato attraverso misure che gravino sulla massa dei cittadini. Questo, oltre ad essere ormai impossibile, è ingiusto. E se l’indebitamento non può essere risolto attraverso un suo procrastinarsi infinito bisognerà che si cancelli quello ingiusto e che si facciano pagare quelli che lo hanno causato.
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