Messina è l’esplicitazione più chiara dell’esplosione della rappresentanza politica. Un tempo c’erano la destra, la sinistra e quelli che facevano la politica dei due forni. Adesso ognuno si sceglie il forno che crede giorno per giorno, a seconda della convenienza, di ciò che l’offerta politica del momento propone.
Chi se ne frega se Dafne Musolino si candida con Forza Italia? E se si fosse candidata col PD sarebbe stato diverso? Messina è la città di Genovese, padrone del PD, che passa a Forza Italia portandosi dietro i suoi consiglieri comunali, compreso il gruppo consiliare che nel proprio nome riporta quello del candidato sindaco del centrosinistra. Messina è la città in cui il candidato sindaco della coalizione del centrodestra se ne va con la Lega e in consiglio comunale rimane un gruppo consiliare che riporta il suo nome con un consigliere che non passa alla Lega.
Si è detto più volte, Messina è un laboratorio politico. Messina è l’esplicitazione più chiara dell’esplosione della rappresentanza politica. Un tempo c’erano la destra, la sinistra e quelli che facevano la politica dei due forni. Adesso ognuno si sceglie il forno che crede giorno per giorno, a seconda della convenienza, di ciò che l’offerta politica del momento propone. Non importa nulla che tu sia stato eletto con una lista o con un’altra. Non importa neanche che quella lista appartenga ad una coalizione o all’altra. Le liste sono solo strumenti per misurare nelle competizioni elettorali il peso di ogni singolo candidato. Non fanno riferimenti a partiti o coalizioni, se non per il tempo corto della campagna elettorale. Il più delle volte fanno riferimento ad un notabile politico locale, ad un capo bastone.
Non che non ci siano le anomalie, ma non arrivano mai ad intaccare il cuore profondo della gestione politica vera e propria. Anche quando conseguono buone affermazioni elettorali. E le stesse elezioni del Sindaco sono mere rappresentazioni, anche quando sono aspre, anche quando sono palcoscenico di un’estetica rivoluzionaria. Anzi, le elezioni a sindaco sono la manifestazione palese del desiderio di cambiamento, della voglia di rivoluzione, della popolazione. Vince chi dice di volere distruggere l’apparato di potere, non chi quel potere rappresenta. Certo, una rappresentazione un po’ schizofrenica, visto e considerato che gli elettori messinesi votano il sindaco rivoluzionario e poi il candidato del notabile di lungo corso.
“Ma è stato un attimo, soltanto un attimo … dopo un po’ non rimane niente”. Le elezioni del sindaco, così, finiscono per non contare nulla e le stesse elezioni valgono solo come momentaneo scuotimento finalizzato a ritrovare un equilibrio tra i singoli collettori di voti. Questi rimangono al potere, quello vero, quello che controlla i flussi finanziari, i posti di lavoro, i consigli di amministrazione, quel poco che rimane di una città divenuta marginale come Messina. Tutti rimangono al potere, seppure sulla base della nuova pesata. Tutti tornano a spartirsi tutto. Quasi tutti, dài. Qualcuno, a volte, rimane segato. E che cavolo, non fosse così che gioco sarebbe? I nomi? Si sanno, li nominano tutti ogni giorno. Anche al bar.
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