L’analisi costi-benefici. E’ questa l’espressione che apre tutte le porte della legittimità alle Grandi Opere. Come se un territorio fosse monetizzabile al pari di una pacco di patate o di un fine settimana in una beauty farm. Per chi come noi è contrario alla costruzione del Ponte sullo Stretto non è difficile dimostrare l’insostenibilità dell’opera e la sua inutilità a fronte dell’investimento necessario. Ma c’è un di più che va considerato quando si decide di avventurarsi in un progetto di tale portata in quanto ad impatto sul territorio ed è la sua relazione col tempo, con la storia di quel territorio, col paesaggio di quel territorio, con le generazioni che vi si avvicendano. Decidere di una tale trasformazione a partire soltanto dagli interessi dei contemporanei come se non esistesse una identità storica e, soprattutto, un diritto delle future generazioni che quel territorio abiteranno significa rapportarsi ad esso con mero spirito di consumo.
I territori sono come le biblioteche. I territori sono degli abitanti, di tutti gli abitanti, di quelli di oggi e delle future generazioni, dei secoli futuri. Così come le biblioteche, i territori non sarebbero oggi un patrimonio se nel passato non ci fosse stato qualcuno che se ne fosse preso cura. Per i territori, come per le biblioteche, il termine “conservazione” perde il significato regressivo che spesso la smania modernista gli ha dato per assumere, al contrario, un carattere produttivo, utile a garantire la fruizione degli spazi agli abitanti dei luoghi. Non c’è in queste considerazioni alcuna suggestione passatista, né un’idea museale dei territori o come luoghi intangibili. Le testimonianze del passato trasferiscono il vissuto di un territorio se rimangono lì dove si sono formate, non se sono chiuse in una teca e decontestualizzate. Un territorio si mantiene come tale se le testimonianze si sovrappongo senza che l’una cancelli la precedente. Ciò che rende unico un territorio sono gli elementi di invarianza e il sovrapporsi dolce delle testimonianze del passato.
I paesaggi sono come i libri. Come le opere letterarie mutano nel tempo, sono soggetti a riscrittura, ma un paesaggio, come un libro, rimane fedele a se stesso se gli elementi invarianti sono più delle mutazioni. Altrimenti diventa un’altra cosa, un’altra edizione, nel caso dei libri, un’altra opera addirittura, nella percezione dei fruitori (dell’osservatore per un paesaggio, del lettore per un libro). Gli abitanti dei luoghi vivono dentro un paesaggio che gli è stato consegnato dalle generazioni precedenti, dai secoli precedenti. Gli abitanti dei luoghi rispettano gli spazi in cui vivono quanto più ne percepiscono la continuità nel tempo. E’ per questa ragione che è riscontrabile un maggiore tasso di rispetto dell’ambiente tra chi va per montagne e chi va per mare. Perché quanto più impervi sono gli spazi, quanto più ostili sono gli ambienti, tanto più invarianti rimangono e tanto più ci si sente radicati.
L’irruzione del Ponte sulla scena dello Stretto di Messina ne trasformerebbe radicalmente il paesaggio facendone perdere la bellezza. L’altezza delle torri (le dimensioni sono quelle della Tour Eiffel con sopra un palazzo di 20 piani) insieme al sistema di cavi che sorreggerebbero il Ponte disegnerebbero una sorta di macroparatia che romperebbe violentemente la continuità del paesaggio determinando un ingombro prospettico di oltre un milione di metri quadri, facendo assumere allo scenario più l’aspetto di una doppia baia che quello di uno stretto, ha rilevato Alberto Ziparo. Lo Stretto di Messina diventerebbe, dunque, un’altra cosa. Si tratterebbe della modifica sostanziale di uno dei luoghi che caratterizzano il territorio messinese e calabrese. Per Messina sarebbe come buttare una bomba sopra la falce. Una città che si riconosce tra queste due estremità caratterizzanti ne risulterebbe pesantemente mutilata.
Osvaldo Pieroni ci ha invece ricordato come “tra Scilla e Cariddi” sia diventato nel tempo Luogo Comune, luogo di ispirazione per tutta la cultura del Mediterraneo e per il mondo intero, luogo comune in quanto appartenente alla comunità umana che ne ha fatto riferimento identitario e culturale. Dello Stretto di Messina hanno scritto Omero, Aristotele, Lucrezio, Ovidio, Sallustio, Dante, Galilei, Goethe, solo per fare un breve elenco. “Si tratta di una cultura del rispetto della potenza della natura e della coscienza del limite, i cui richiami risultano particolarmente urgenti nell’epoca attuale”. Eh … già, ne abbiamo decisamente bisogno!
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