Nei fatti il provvedimento non fa uscire Catania dal dissesto. Semmai è la dichiarazione di dissesto che consente al Comune di ricevere somme che consentiranno nell’immediato di approvare il bilancio stabilmente riequilibrato (che è esattamente un istituto previsto nella procedura che segue la dichiarazione di dissesto) e ad evitare di interrompere la fornitura di servizi ai cittadini come, per esempio, il servizio di trasporto pubblico urbano.
L’approvazione in Senato del Decreto Crescita è stato salutato come il provvedimento che salverà, tra altri, il Comune di Catania dal dissesto. La rappresentazione che se ne dà è che lo Stato stia dando i soldi alla città etnea per pagare i debiti emersi in seguito alla ricognizione fatta dalla Corte dei Conti e che ha portato alla rilevazione di un indebitamento complessivo di 1,6 miliardi di euro (causato da una straordinaria sottovalutazione dei debiti fuori bilancio e dall’emersione impressionante del debito da riaccertamento straordinario dei residui) e causato il dissesto finanziario, in seguito al quale è stato costituito l’Organismo Straordinario di Liquidazione che dovrà affrontare il rientro dal debito (censimento, transazioni e bilancio stabilmente riequilibrato). Una tale rappresentazione tende a dare l’idea di una classe politica catanese capace di influire sul Governo nazionale, il quale, a sua volta, può dichiarare di avere mantenuto la promessa di salvare la città dal dissesto.
Nei fatti il provvedimento non fa uscire Catania dal dissesto. Semmai è la dichiarazione di dissesto che consente al Comune di ricevere somme che consentiranno nell’immediato ad approvare il bilancio stabilmente riequilibrato (che è esattamente un istituto previsto nella procedura che segue la dichiarazione di dissesto) e ad evitare di interrompere la fornitura di servizi ai cittadini come, per esempio, il servizio di trasporto pubblico urbano. L’art. 38 al Decreto Crescita, infatti è una partita di giro che consente di risparmiare risorse dall’accollo da parte dello Stato di una parte del debito di Roma, il che consente un minore esborso per la rinegoziazione dei mutui e la costituzione di un Fondo per le città di Catania, Alessandria e Campobasso. Il Fondo per le città metropolitane in dissesto, costituito da 20 milioni di euro per il 2019 e 35 per gli anni dal 2020 al 2033, ha la finalità di pagare le rate in scadenza dei mutui contratti per spese d’investimento.
In tutta l’operazione è individuabile una partita di giro tra risparmi sulla rinegoziazione e pagamento di mutui alla Cassa Depositi e Prestiti. Ovviamente il Comune di Catania ne riceverà un vantaggio, trasferendo il debito alle generazioni che verranno, in quanto somme per pagare mutui per investimenti verranno utilizzate per il riequilibrio di bilancio (spesa corrente). Non si tratta di una novità. Già una prima volta il Comune di Catania venne “salvato” utilizzando i Fondi per investimenti ai fini del riequilibrio di bilancio ed è di questa stagione il “salvataggio” delle ex Province siciliane per poter approvare i rendiconti 2018 attraverso la concessione degli stessi fondi (adesso denominati Fondo Sviluppo e Coesione) per evitare (stavolta sì) il dissesto.
A voler guardare con occhi non condizionanti dalla necessità della propaganda appare chiaro che si tratta di un generale navigare a vista che non affronta il nodo politico del debito che ha carattere strutturale e che nelle condizioni date (riduzione progressiva dei trasferimenti dal centro alla periferia e sottrazione delle risorse pubbliche da parte dei centri del potere politico) non può che riprodursi. Certo, la dichiarazione di dissesto del Comune di Catania porterà con sé l’emersione delle responsabilità politiche nella formazione di quell’incredibile indebitamento e delle strategie finalizzate a negarlo, ma solo l’irruzione sulla scena del protagonismo dei fruitori dei servizi pubblici e dei lavoratori potrà invertire la tendenza.
Leave a Reply