Una nuova generazione è in strada in tutto il mondo. Protesta e lo fa con modalità comuni. Dal punto di vista estetico una piazza è sovrapponibile all’altra. C’è uno stile della protesta ormai globale. Le prime file dei cortei di Hong Kong sono del tutto simili all’estetica black (abiti neri, maschere e occhiali contro i gas lacrimogeni), che ha caratterizzato gli scontri del ciclo di mobilitazione contro la globalizzazione. Gli scudi utilizzati in molte piazze ricordano tanto quelli usati a Napoli o Genova nel 2001. Originale è, invece, l’uso dei laser ad Hong Kong per disturbare le videocamere utilizzate dalla polizia per identificare i manifestanti, così come l’utilizzo degli ombrelli (si cominciano a vedere adesso in varie manifestazioni e sono un colpo d’occhio colorato straordinario). Da simbolo gli ombrelli si sono poi trasformati in un riparo dagli idranti della polizia.
Comune è anche il modo in cui i manifestanti si chiamano alla lotta, l’uso dei social network, delle piattaforme digitali. In Catalogna Tsunami Democratic è l’app che i manifestanti usano per convocarsi in piazza. Apple ha tolto dal proprio App Store HKmap.live, utilizzata dai manifestanti per monitorare i movimenti della polizia. Facebook, telegram, Instagram sono diventate terreno di scontro comunicativo. Il loro carattere estrattivo dell’intelligenza sociale attraverso la gestione dei dati viene contrastato da un loro uso antagonistico. In tante piazze si mescolano, poi, attraverso il travisamento del viso, i riferimenti al cinema o le serie televisive. Le maschere di Salvador Dalì della Casa di Carta, di Guy Fawkes di V per vendetta sono state usate in tante occasioni. La maschera di Joker è stata utilizzata ad Hong Kong, in Chile, in Bolivia, a Beirut. Matrix è la chiave di lettura che molti movimenti utilizzano per descrivere la società contemporanea. “Baby shark”, una canzone per bambini su una famiglia di squali, è diventata il grido di battaglia della protesta in Libano dopo essere stata cantata e mimata da un gruppo di manifestanti per rassicurare un bimbo, spaventato dalle urla, che era rimasto bloccato in macchina, insieme alla mamma, nel corso di una dimostrazione.
Ovunque la protesta è esplosa per ragioni che potrebbero apparire marginali. Così come l’aumento del costo del carburante (motivo anche delle proteste di Haiti, Ecuador e Iran) non sembrava giustificare quel po’ po’ di scontri scatenati dai Gilets Jaunes, a Hong Kong a scatenare la protesta è stata la legge sull’estradizione, in Cile l’aumento del biglietto della Metro, in Libano l’introduzione di una tassa sulle telefonate su Whatsapp. Quasi del tutto assenti i riferimenti ideologici, le rivendicazioni dei manifestanti si caratterizzano per la richiesta di maggiore democrazia (in Cile si chiede di cancellare la Carta Costituzionale di Pinochet), maggiore libertà (a Hong Kong i giovani chiedono di non essere sottoposti al sistema giudiziario cinese), libertà di accesso alle reti, diritto alla mobilità. Dappertutto i temi della protesta si intrecciano con la quotidianità, il territorio, il desiderio di autodeterminazione. E se in Catalogna la rivolta è esplicitamente per l’indipendenza politica ad Hong Kong il massimo diplomatico cinese, Xie Feng, ha dichiarato che le proteste in corso rappresentano una campagna di indipendenza per rovesciare il governo.
La foto dei ragazzi incappucciati che mostravano le bandiere catalane ha fatto il giro del mondo, ma erano state le manifestazioni di Hong Kong, in corso da anni, ad ispirare alcune modalità d’azione delle proteste per l’indipendenza della Catalogna. Sembra finito, insomma, il tempo della pacificazione. Per questa ragione la repressione si va facendo ogni giorno più violenta in tutte le piazze con morti, feriti e arresti. Alla fine, la polizia è uguale a tutte le latitudini e il suo compito non ha nulla a che vedere con la difesa della legalità. In Libano, Iraq, Haiti, ad esempio, la rabbia dei manifestanti si è scatenata contro elite politiche corrotte che hanno occupato gli spazi della decisione pubblica. Dappertutto è scontro tra democrazia e oppressione.
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