Dalla lettura della nota della Corte dei Conti sul Piano di Riequilibrio del Comune di Messina si ricava una sensazione di generale confusione e incoerenza dell’azione amministrativa e contabile della Giunta De Luca. Da questo punto di vista il capitolo relativo alle Società Partecipate è paradigmatico. Queste, infatti, vengono prima finanziate e le loro perdite inserite nel Piano di Riequilibrio e poi viene sostenuta la tesi che i loro debiti e le loro perdite possono essere espunti per il divieto del soccorso finanziario da parte del Socio. Per non parlare, poi, dell’inestricabile rapporto debiti/crediti tra Comune e Partecipate.
La tesi, poi, dell’abbattimento del debito attraverso le transazioni era evidentemente in larga misura una diluizione nel tempo (il tempo della durata del Piano di Riequilibrio), ma, come già fatto notare in passato, non era chiaro quale fosse la fonte di finanziamento del riconoscimento del debito, visto che le delibere riportano solo il pagamento della prima rata col terzo anno di previsionale. Insomma, questi debiti si spostano (non si abbattono, come invece sosterrebbe De Luca) dal Piano di Riequilibrio, ma per essere portati dove? E, infatti la Corte dei Conti lo chiede, facendo notare che nel Piano di riequilibrio ci sono solo gli accordi con i creditori.
Nelle 81 pagine della nota ci sono, però, due tabelle che sono particolarmente esplicative. La prima riguarda le previsioni di cassa e le riscossioni a rendiconto per quanto riguarda i tributi per il 2019: 208 milioni di euro contro 91. E’ da tener conto,peraltro, che il 2019 è un anno “pieno” per De Luca. Nel 2018, infatti, era stato eletto e nel 2020 è arrivato il Covid. Nel 2019, però, la sua azione doveva essersi già dispiegata. La seconda tabella, invece, riguarda, le previsioni di maturazione delle risorse necessarie a finanziare il pagamento dei debiti. La Corte dei Conti mostra che il maggior carico ricade in periodi che vanno oltre la durata dell’attuale amministrazione, contro quelle che sono le Linee Guida della redazione dei Piani di Riequilibrio della Corte dei Conti e contro quanto sostenuto fino ad oggi da De Luca. Ma perché queste due fattispecie sono particolarmente importanti? Perché ci dicono che il Piano di Riequilibrio si basa su attese non corrisposte e sposta nel futuro la realizzazione dei risparmi necessari.
Sarebbe, però, sbagliato dare una lettura meramente ragionieristica di quanto scrive la Corte dei Conti. D’altronde sarebbe anche sbagliato attribuire la responsabilità unicamente all’Amministrazione De Luca. Ciò che la Corte dei Conti mette in evidenza è un generale stato di crisi dell’Ente (che si è formato nei decenni precedenti) ed elenca anche tutte le note critiche inviate alla precedente Amministrazione. Insomma, qui il problema non è se De Luca il Sindaco lo sappia fare (e il mio giudizio è fortemente negativo). Il problema è che nelle condizioni date (imponente indebitamento, scarso imponibile locale, impoverimento della società messinese, riduzione progressiva dei trasferimenti da Stato e Regione nei confronti del Comune) tornare in regime ordinario è pressoché impossibile. E non è neanche un destino che riguarda solo il Comune di Messina. In generale i Comuni che si trovano in predissesto è più facile che vadano in dissesto anziché tornino in regime ordinario. E anche quando escono dal dissesto tornano il più delle volte in regime di predissesto.
La questione politica fondamentale è che decenni di politiche di austerità hanno lasciato sul campo molti Comuni. Circa il 25% di questi sono in dissesto o predissesto e sono localizzati in gran parte al Sud (in particolare in Sicilia, Calabria e Campania) e adesso che ai Comuni viene assegnato il compito di spendere le risorse del PNRR e dei fondi strutturale questi si trovano totalmente desertificati (poiché la principale azione di risanamento è stato il taglio al personale) e mancano in molti casi degli stessi strumenti finanziari fondamentali. Gli stessi finanziamenti assegnati alle Città Metropolitane con la recente Legge di Bilancio basteranno semplicemente a giustificare i Piani di Riequilibrio e non andare in dissesto. Il rischio concreto è che oggi le risorse che arriveranno nei Comuni aumenteranno, piuttosto che ridurlo, il gap tra aree ricche e povere del paese.
Ci vorrebbe una soluzione politica. Ci vorrebbe un provvedimento legislativo che rimetta tutti i Comuni nelle medesime condizioni, che consenta loro di tornare in regime ordinario, che consenta a tutti di ripartire con le stesse possibilità. Ci vorrebbe che le risorse messe a disposizione siano finalizzate soprattutto a garantire efficienti servizi pubblici locali, quei servizi essenziali (trasporto pubblico locale, smaltimento dei rifiuti, servizio idrico, servizi sociali) che i cittadini sono abituati a ricevere dai Comuni e che sempre più appaiono come miraggi nelle nostre città. Senza una soluzione politica la Sicilia, con le città più importanti in dissesto o predissesto è destinata a sprofondare.
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