La politica è stata ridotta ormai ad una sorta di “Pokemon GO”, dove non c’è più alcuna direzione, dove tutti vanno da tutte le parti e vinci se, seguendo la mappa sul tuo palmare, trovi il Pokemon. E’ del tutto irrilevante dove vai. Conta quello che prendi.
“… la strada non conta, quello che conta è sentire che vai”. Ligabue come innovatore politico è un po’ troppo, ma era il ’95, l’Italia stava pagando l’ingresso in Europa con finanziarie lacrime e sangue (Amato, Ciampi, Dini), Berlusconi stava segnando la nuova fase politica basata sulla distruzione dei partiti ad opera di Mani Pulite e Di Pietro, il debito delle amministrazioni veniva nascosto nelle decine di migliaia di società collegate al sistema pubblico, le clientele e le mazzette venivano istituzionalizzate attraverso l’ingresso nei consigli di amministrazione di queste, i più fragili (o arroganti) si suicidavano, gli altri progettavano il proprio ritorno. Non c’era da chiedersi dove andare. Bisognava andare.
Dopo più di venti anni anche chi ha parlato, scritto, lottato contro la rappresentanza politica ha avuto la propria porzione di smarrimento. Piuttosto che l’emergere di istanze democratiche attraverso più potere ai più si è assistito all’affermarsi di pratiche politiche post-democratiche, una sorta di democrazia diretta tecnocratica, come si dice da qualche parte. Un misto di partecipazione “modello facebook” mipiace/nonmipiace e un comando che viene da chi pone le domande. I partiti sanno di essere irriformabili e sanno di non essere in grado di innovare in senso verticistico, personalistico, tecnocratico, le istituzioni. Oggi hanno bisogno del populismo come all’inizio dei Novanta ebbero bisogno di Di Pietro. Allora poi venne Berlusconi. Domani, chissà. Allora come oggi la parola d’ordine era “onestà” e protagonista era il sistema giudiziario. Allora come oggi la sinistra rimase paralizzata. Ligabue, insomma, ha vinto. La politica è stata ridotta ormai ad una sorta di “Pokemon GO”, dove non c’è più alcuna direzione, dove tutti vanno da tutte le parti e vinci se, seguendo la mappa sul tuo palmare, trovi il Pokemon. E’ del tutto irrilevante dove vai. Conta quello che prendi.
Messina, da questo punto di vista, è paradigmatica. Morti e sepolti i partiti, la scena è occupata da singoli che acchiappano consensi o aggregati d’interessi che provano a sommare quella massa critica che consenta loro di ambire al governo della città e a utilizzarne le leve. Lo scenario diventa così estremamente liquido. Non esistendo più strutture stabili in grado di darsi continuità, la forza è suscettibile al tempo in cui essa viene rilevata. E’ questa la ragione per la quale soggetti che in un momento sembrano essere fortemente significativi non lo sono più anche solo pochi mesi dopo. Insomma, se sei forte dipende tutto dal momento in cui viene rilevato il tuo peso. E’ questa la ragione per cui una città può essere scalata anche da un soggetto singolo o da una impresa politica come quella di Cateno De Luca. E’ stato così anche per Accorinti. Poteva essere così per la lobby universitaria o per quella che gravitava intorno a Bramanti.
La scelta del momento è, insomma, decisiva. Per questa ragione De Luca rilancia continuamente. Il consenso non si dà una volta per tutte e nessuno (neanche lui) è in grado di mantenerlo stabilmente. Non se ne danno più le condizioni economiche. E’ la crisi, baby. E con la crisi vanno a farsi strabenedire anche le clientele. Bisogna rilanciare la palla in continuazione. Meglio, bisogna tirare la palla da una parte e costringere tutti ad inseguirla. Magari preparando il terreno per una cosa più importante mentre tutti si accapigliano su questioni di contorno. Terminata l’inerzia la palla bisogna tirarla da un’altra parte. Le contraddizioni in termini, le date non rispettate, l’aleatorietà delle valutazioni non sono, dunque, errori. Sono fattori costitutivi della scena politica.
Le giustificazioni teoriche, le narrazioni, le visioni politiche, le logiche amministrative sono tutte fuffa. Dietro di loro nulla. Un velo sottile che nasconde l’impossibilità di governare una massa debitoria che sommerge tutto e impedisce l’ordinaria amministrazione della cosa pubblica. Se solo si guardasse all’attualità politica contestualizzandola in un tempo un po’ più lungo ci si renderebbe conto che tutto ciò è ingovernabile in una città impoverita e marginalizzata come la nostra e basterebbe chiedersi quante volte sono state annunciate come di prossima realizzazione le opere pubbliche di cui si parla sempre per rendersi conto che, semplicemente, i loro tempi non corrispondo a quelli della vita della città, dei suoi abitanti. Il loro iter è talmente lungo che esce fuori dalla biografia di molti di noi. Insomma, nelle condizioni date non c’è tecnica che tenga ed è impossibile una svolta senza una soluzione di continuità.
Leave a Reply