Catania: il dissesto è vostro, noi il debito non lo paghiamo

Catania: il dissesto è vostro, noi il debito non lo paghiamo

Riconoscere lo stato di dissesto, non aggrovigliarsi in tentativi disperati di salvare i bilanci è inevitabile per non diventare gli usurai di se stessi.

Il dissesto del Comune di Catania ha l’aspetto di una bolla che esplode. Non l’accumularsi progressivo di perdite e debiti, ma il manifestarsi violento di una condizione nascosta, dissimulata dalla stratificazione delle amministrazioni che si sono avvicendate alla guida della città. Nei dispositivi della Corte dei Conti, nei numeri in essi contenuti, appare evidente la strategia di chi ha voluto che si galleggiasse indifesi su un mare in tempesta, privi di direzione, con la sola volontà di continuare a mantenere il potere. Perché questa è la ragione vera del mancato riconoscimento del dissesto negli enti locali. L’ipocrita volontà di mantenere l’autonomia decisionale degli esecutivi locali nasconde il tentativo di non fare i conti con le politiche dei governi di centrodestra e di centrosinistra che hanno impoverito le città del Sud e l’uso privatistico che le classi dirigenti, questo incrocio perverso di partiti, amministratori, dirigenti comunali, imprese legate alla finanza pubblica, sindacati, associazioni collaterali dei partiti, hanno fatto della cosa pubblica.

Dai rilievi della Corte dei Conti emerge una sottovalutazione impressionante dei debiti fuori bilancio e dei debiti potenziali, nonché l’emergere di uno straordinario aumento del disavanzo d’amministrazione generato dal riaccertamento straordinario dei residui. A questo si associa una difficoltà cronica nella riscossione dei tributi che rende impossibili le previsioni d’entrata finalizzate a finanziare il Piano di Riequilibrio del Comune di Catania. Un quadro devastante che non ha nulla a che fare con la perizia tecnica degli amministratori (che pure appare evidente), ma che attiene all’impossibilità, nella situazione data, di corrispondere agli obiettivi di rientro dal debito. Tocca, dunque, dare una lettura politica della situazione e strappare la discussione pubblica ad una disputa meramente tecnica che finisce, fatalmente, per condurre sul terreno nel quale gli azzeccagarbugli e gli apprendisti stregoni trovano terreno d’elezione (e spesso vantaggi economici derivati dal loro vivere del debito della finanza pubblica).

Il dissesto del Comune di Catania, il possibile dissesto del Comune di Messina, decine di Comuni siciliani in dissesto o predissesto, il bilancio della Regione perennemente a rischio ci consegnano un orizzonte catastrofico nel quale i soggetti politici, sindacali, imprenditoriali, professionali non hanno alcuna possibilità di trovare una via d’uscita in quanto a loro volta coinvolti nei dispositivi economici, politici e amministrativi che l’hanno causato. Non c’è, insomma, alcuna alternativa ad un protagonismo sociale indipendente capace di generare esperienze di insorgenza e produrre capacità di autogoverno. Per quanto questo possa apparire utopistico, si tratta di mero realismo, ché le altre opzioni in campo possono generare solo lacrime e sangue o l’avvolgersi ulteriormente nella morsa del debito.

Ci vuole, insomma, uno scarto nel quale a cambiare il quadro sia il soggetto che prende la parola. Riconoscere lo stato di dissesto, non aggrovigliarsi in tentativi disperati di salvare i bilanci è inevitabile per non diventare gli usurai di se stessi. “Che se ne vadano tutti” è necessario per non edulcorare le responsabilità delle classi dirigenti locali con analisi di ordine generale che rischiano di essere assolutorie. “Il dissesto è vostro/noi il debito non lo paghiamo” vuol dire riconoscere nella gran parte dei creditori una condivisione della responsabilità del debito degli enti locali. Non riconoscere le Giunte e i Consigli comunali come controparte capace di dare risposte. Quello che dovevano prendersi se lo sono già presi. Tocca a noi adesso riprenderci i Comuni.

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