Quattro giorni con zero gradi a quattromila. Le nuvole avvolgevano il rifugio. Eravamo sfiniti dalla noia. Non sapevamo davvero più cosa inventarci per far passare il tempo. Alle 11.00 del quarto giorno ci fu una schiarita. Faceva ancora caldo, ma almeno una via di roccia si poteva fare.
“Non vale la pena usare piccozza e ramponi. Con questo caldo comunque affondiamo.” Naturalmente, intendeva dire “attaccali allo zaino”. Giunti alla base della parete Roby si accorse che li avevo lasciati al rifugio. S’incazzò come una bestia. Penso che se non fosse stato vietato dalla legge mi avrebbe ucciso. Io, d’altronde, mi sarei buttato in fondo ad un crepaccio, pur di porre fine a quell’umiliazione.
Comunque, in qualche modo arrivammo alla base della via. “Cammina molto”, mi aveva detto prima di partire, “tanto facciamo gradi bassi”. Con scarponi e zaino sulle spalle, però, anche un quinto grado diventa duro. Con difficoltà gli arrancavo dietro. A pochi metri dalla vetta il tempo decise di cambiare nuovamente. Prima la pioggia, poi la grandine. Battemmo rapidamente in ritirata.
Come mi avevano insegnato nei corsi, alle soste mi assicuravo. Mi guardò con la faccia di chi pensa “ma chi me l’ha portato questo qua?”. Disse soltanto “se arrivano i fulmini di noi non trovano neanche gli imbraghi”. Capii. Smisi di assicurarmi e velocizzai le operazioni.
Ma siccome i guai non arrivano mai da soli, la corda si incastrò. Cercai di passargli piccozza e ramponi suoi, che intanto erano finiti nel mio zaino. Anche questi si incastrarono.
Decisi che ci sono momenti in cui un uomo deve dimostrare di essere un uomo. Raggiunsi, sciolto, gli attrezzi e glieli feci arrivare. Riuscimmo a metterci in salvo e a tornare al rifugio. 2 a 0 per la montagna. Era tempo di tornare in falesia.
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