L’idea che navi portacontainer da 20.000 teu si fermino a Pozzallo, Augusta o Catania per caricare tutte le merci su treni (quanto lunghi e quanti?) perché queste possano essere trasportate verso i mercati europei è talmente poco credibile da apparire risibile. Eppure i sipontisti è su questo che basano la “scientificità” delle loro tesi.
Tra gli argomenti utilizzati dai sostenitori del Ponte sullo Stretto uno assume oggi carattere paradigmatico: il Ponte servirebbe ad intercettare i flussi commerciali provenienti da Suez, che oggi, prevalentemente, proseguono per Gibilterra per andare verso il porto di Rotterdam. Questo argomento avrebbe due conseguenze positive: da una parte la Sicilia assumerebbe il carattere di piattaforma logistica per le Grandi Navi provenienti dalla Cina, con evidente profitto per l’economia dell’isola, e tutta l’operazione porterebbe vantaggi da un punto di vista ecologico in quanto l’utilizzo dei treni ad alta velocità che attraverserebbero il Ponte risulterebbe migliorativa dal punto di vista dell’impatto ambientale se confrontato con l’utilizzo di Tir, navi, aerei.
L’argomento è evidentemente destituito di fondamento per ragioni elementari. Il traffico commerciale mondiale, infatti, è per l’80% marittimo e le vie del mare risultano fortemente vantaggiose dal punto di vista economico. A titolo esemplificativo è sufficiente rilevare che attraverso la Via della Seta, di cui tanto si è parlato in Italia per la recente visita del presidente cinese Xi Jinping, viaggiano tra Europa e Asia circa 23 milioni di teu di merci. Di questi solo 370 mila viaggiano su rotaia e l’obbiettivo è raggiungere il 10% del traffico totale. D’altronde, ovviamente, Xi Jinping, nel corso della sua visita italiana, ha fatto accordi per far arrivare le rotte della Via della Seta a Genova e Trieste. Risulterebbe, infatti, del tutto antieconomico far risalire le merci per lo stivale attraverso la linea ferrata. Diversa sarebbe l’attrattiva se la Sicilia e il Sud avessero una rete portuale moderna e un’infrastrutturazione stradale e ferroviaria ramificata ed efficiente in quanto questo potrebbe essere occasione di scambi reciproci oppure se la Sicilia si offrisse come piattaforma per i commerci con l’Africa (ed è evidente che anche in questo caso il Ponte non serve ad un fico secco).
L’idea che navi portacontainer da 20.000 teu si fermino a Pozzallo, Augusta o Catania per caricare tutte le merci su treni (quanto lunghi e quanti?) perché queste possano essere trasportate verso i mercati europei è talmente poco credibile da apparire risibile. Eppure i sipontisti è su questo che basano la “scientificità” delle loro tesi. Lo stesso Governatore della Sicilia Nello Musumeci ha occupato gran parte del tempo concessogli nel corso di una recente trasmissione televisiva al fine di tessere le lodi del Ponte sullo Stretto per ripetere questo argomento come una lezioncina imparata all’ultimo momento.
In realtà, sono miti, meri miti, quelli inseguiti da chi, fuori tempo massimo, vista la crisi ecologica mondiale in cui viviamo e i limiti di una pedissequa fiducia nello sviluppo scientifico, sogna opere ingegneristiche fantasmagoriche e costosissime mentre le strutture prossime alla vita delle persone cascano a pezzi. Pensano a corridoi tracciati sulla carta e che non tengono conto del fatto che nel nostro paese, ad esempio, gran parte degli spostamenti, sia di merci che di persone, avviene per tratti medi o brevi e hanno carattere prevalentemente regionale. Eppure basterebbe riflettere sulle previsioni totalmente sballate che avevano fatto sia sul Tav Torino-Lione che sul Ponte sullo Stretto perché questa narrazione crolli clamorosamente.
Il traffico del tratto interessante il Tav Torino-Lione era di 7,5 milioni di tonnellate/anno nel 1984 e si era innalzato fino a 10 milioni nel 1997, anno in cui vennero fatte previsioni che immaginavano 20 milioni di tonnellate al 2010. Inutile dire che, invece, a quella data e negli anni successivi il dato si è attestato intorno ai 3 milioni di tonnellate. Ma non è bastato. Pur essendo evidente il trend, nel 2004 è stata fatta un’altra previsione di 10 milioni di tonnellate al 2012 (e ne sono passati meno di un terzo), 19 al 2024 e 31 al 2030. Ma non importa che l’evidenza sia contraria. Una nuova previsione ci dice che i 3 milioni del 2012 diventeranno 58 nel 2054. Neanche Nostradamus avrebbe arrischiato tanto.
Della stessa natura le previsioni mancate contenute nel progetto di costruzione del Ponte sullo Stretto. Le ipotesi di crescita dei transiti attraverso lo Stretto di Messina erano basate sul trend di crescita del Pil del meridione d’Italia. Nello scenario alto l’aumento del Pil medio doveva essere del 3,8% tra il 2001 e il 2011. L’ipotesi bassa si attestava invece all’1,8%. Avvenne, invece, che il trend medio di crescita fu dello 0,5% fino al 2007. Dal 2008 fu decrescente, mentre solo nel 2006 si andò oltre l’1%. Nel 1999, infatti, attraversavano lo Stretto 2.328.000 tra autovetture e moto e 1.238.000 mezzi pesanti. Nel 2013 invece, le autovetture e le moto ad attraversare lo Stretto furono 1.584.000 e 650.000 i mezzi pesanti. Nel 2002 passavano 8.000.000 di tonnellate di merci, 10.000.000 di tonnellate nel 2006, 6.000.000 nel 2016.
Ma anche la retorica sui vantaggi rispetto alle emissioni di anidride carbonica, responsabile del riscaldamento globale, è priva di fondamento. Sulle grandi distanze, infatti, i mezzi meno inquinanti rimangono le navi portacontainer superiori a 8000 teu. E’ evidente, d’altronde, che i tir abbiano emissioni quasi quadruple rispetto ai treni, ma in Italia il traffico merci su treno è solo il 10% e la responsabilità sta anche nell’avere insistito sullo sviluppo dell’Alta Velocità e dell’Alta Capacità sul modello francese, con costi esorbitanti, piuttosto che pensare, come hanno fatto i tedeschi, a potenziare le linee esistenti per renderle idonee al transito di treni più veloci.
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