Stare tutti a due metri di distanza per sempre sarebbe una follia. Tanto varrebbe morire. Può essere una cautela accettabile per qualche settimana, qualche mese, ma poi la società deperisce, prende una forma che perde il carattere dell’umano, diventa meccanismo, ingranaggio, macchina. Per farsi società gli uomini sono usciti dalle caverne e hanno affrontato i pericoli del mondo. Per crescere gli umani hanno viaggiato, le società si sono mescolate. Senza questo andremmo incontro ad una regressione incompatibile con una vita degna.
Noi abbiamo vissuto la società di massa. Massificata, è più giusto dire. Tutti ammassati dentro gli stabilimenti balneari, tutti ammassati dentro le metropolitane, tutti ammassati dentro le discoteche, tutti ammassati dentro gli stadi, tutti ammassati, soprattutto, dentro le metropoli. Il processo di massificazione è stato coestensivo al processo di mercificazione. Quanto più la merce e il lavoro sono diventati coincidenti con la nostra vita e il nostro ambiente, tanto più ci siamo ritrovati a vivere addossati gli uni agli altri. Non c’è stato niente di libero in tutto questo.
La catastrofe, che il nostro modello produttivo, sociale, urbanistico, ha cercato con insistenza, alla fine è arrivata sotto forma di pandemia, ma è solo una delle forme che la catastrofe può assumere. La pandemia è l’epifenomeno di una catastrofe dentro la quale eravamo già immersi. E gli uomini, l’avevano, peraltro, già descritta, nelle proprie forme d’espressione (i libri, i film, i dipinti), che speriamo non debbano tornare ad essere sostituite dalle mani impresse sulle pareti delle nostre case (le nuove caverne). La catastrofe continua nel distanziamento sociale perché questo riproduce la società della catastrofe, se ne fa estrema sentinella, ultimo baluardo di una socialià in frantumi.
Summertime è in questo momento la serie più vista su Netflix. Racconta dell’estate di una città della riviera adriatica, una enorme distesa di stabilimenti balneari. Nell’industria del divertimento i ragazzi vivono le inquietudini della loro adolescenza, ma, ciò che è più importante, non ancora sussunti esistenzialmente da quel modello, ne colgono gli aspetti orribili. Summer, il personaggio più interessante, fin dal primo episodio dice “odio l’estate”, naturalmente con le fantastiche parole di Bruno Martino in sottofondo, ma è Edo, il ragazzino infelicemente innamorato di Summer, a dire la cosa più illuminante: “Qui non c’è niente di bello da vedere”.
Adesso quel nulla da vedere dovremmo guardarlo con la mascherina, fare dividere i nostri lettini con lastre di plexiglass, tenerci a distanza, scendere a mare tra corridoi segnati dalle bande rosse e bianche, tenere sotto controllo i nostri figli affinché non giochino con i figli degli altri. Dopo averlo negato, il mare, dopo averlo nascosto allo sguardo, sarà necessario avere un badge per l’accesso, dovremo prenotare per fare un bagno a mare. Ci sono chilometri di spiagge da conquistare, dove potremo distenderci alla distanza che sceglieremo. Distenderci sulla sabbia sarà la nostra rivolta. Banale dire che l’unica difesa dalla catastrofe sarebbe una vita più naturale, vero? Però è così.
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