Il virus del Ponte

Il virus del Ponte

Nelle ultime settimane abbiamo assistito ad un vero e proprio profluvio di dichiarazioni a favore del Ponte sullo Stretto. Da 20 anni almeno non si assisteva ad un tale schieramento. Il quadro politico nazionale ha una sola voce. Ed è favorevole. Solo i cinquestelle esprimono una resistenza, ma è timida, spaventata, più formale che convinta. La sensazione è che se si manifestasse l’occasione del protocollo TAV (tutti votano a favore e loro contro e si decide per il Sì) di certo non farebbero saltare il Governo. Anche nel PD c’è qualche voce contraria, ma in generale l’orientamento sembra favorevole. Il No al Ponte, insomma, pubblicamente è quasi sparito. Si cela nella considerazione che “tanto periodicamente ne parlano, ma non lo faranno mai”.

Il movimento no ponte nasce come mobilitazione indipendente da una valutazione costi-benefici. Questa scelta è stata per una decina di anni ragione di militanza per tanti attivisti, non solo dell’area dello Stretto. Per i sostenitori dell’opera questa è una posizione ideologica. Ma, tanto, per loro o sei ideologico o benaltrista! Si tratta, al contrario, di una posizione ontologica, che ha a che fare con ciò che naturalmente, paesaggisticamente, è lo Stretto di Messina, con ciò che storicamente è la Sicilia.

La Sicilia è un’isola e l’essere tale non comporta l’essere isolati, né impedisce il suo sviluppo economico, sociale, culturale. Per secoli si è trovata al centro dei commerci proprio in ragione della sua collocazione geografica. E questo l’ha portata addirittura ad essere rappresentata nelle carte del tempo più grande di quanto in realtà non fosse. L’essere isola e l’essere in quel punto lì l’ha portata a generare una identità meticcia, fatta delle tante popolazioni che l’hanno attraversata e lì si sono mescolate. Tale identità è avvalorata dall’inequivocabile sensazione di sentirsi in Sicilia, avvertirla attraverso i suoi scenari, i suoi colori, i suoi profumi. Tutte sensazioni che vengono rievocate dalla letteratura siciliana, dalla sua arte, dai suoi monumenti, dalla filmografia ambientata sull’isola. Le dimensioni geografiche e demografiche consentono, peraltro, fortemente, il venire alla luce di queste peculiarità. Il mancato sviluppo economico, insomma, non ha nulla a che vedere con l’essere isola della Sicilia. Semmai, se ne possono rintracciare le ragioni storiche e le responsabilità politiche.

Il Ponte sullo Stretto, sebbene ammantato da una vena di modernizzazione del territorio rappresenta, al contrario, una battaglia di retroguardia. Piuttosto che collocare i nostri territori nel punto avanzato della storia collocherebbero anche questi tra le espressioni di un mondo ormai insostenibile. Le tante crisi ecologiche e sanitarie nelle quali siamo immersi ci dicono quanto sia pertinente quello iato aperto tra tempi biologici e tempi meccanici (espressione utilizzata nel pieno della crisi del Covid-19), tra capacità produttive e sostenibilità ambientale.

Il Covid-19 ha messo a nudo le fragilità di un sistema produttivo basato sull’allargamento incessante della sfera della produzione e del consumo, un meccanismo che, semplicemente, il pianeta non riesce più a contenere. Il Covid-19 ha colpito al cuore il motore di questo sistema: la metropoli. Il Covid-19 ha messo in discussione un assunto ritenuto, prima della diffusione della pandemia, indiscutibile: il processo di velocizzazione. Ecco, il Ponte sullo Stretto è contenuto dentro il paradigma di un mondo che muore, incapace di smaltire i propri scarti e accettare i propri limiti. Non è il salto nel futuro, è il tuffo nel baratro. Non è la soluzione al mancato sviluppo dei nostri territori, è la causa del loro destino di distruzione.

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