I decenni che abbiamo alle spalle sono stati l’annuncio della catastrofe. In ogni versione possibile film, serie tv, libri e fumetti ci hanno descritto l’apocalisse che arrivava. E quanto più paurosi erano tanto più seguito hanno avuto. Abbiamo vissuto la catastrofe letterariamente, per interposta persona, identificandoci con personaggi che all’improvviso dovevano passare dalla rassicurante vita quotidiana al pericolo di una vita che ogni istante va difesa. Ci è pure piaciuto. Che noia, abbiamo pensato spesso, le nostre giornate tutte uguali. Meglio vivere pericolosamente, aprirsi all’incognito, lasciare che ogni giorno si presenti con la sua minaccia.
Da decenni scienziati di ogni disciplina ci annunciano la catastrofe che viene. Dai pericoli derivati dagli arsenali nucleari al riscaldamento globale, dal buco nell’ozono alla riduzione delle biodiversità, ci è stato segnalato a pochi passi da noi, a pochi anni dalla nostra vita di tutti i giorni, l’orizzonte del non ritorno, il giorno in cui non avremo più a disposizione materie prime per noi indispensabili, lo scioglimento dei ghiacciai, l’apocalisse nucleare. Eppure abbiamo continuato a vivere come se quella roba lì non ci riguardasse, come se, anche se piuttosto che 20 anni l’orizzonte fosse di 40, non ci sarebbero stati i nostri figli a subire le conseguenze di quegli eventi.
Poi la catastrofe è arrivata. Meglio, poi la catastrofe si è disvelata. Eppure a quel punto l’abbiamo presa come un fastidio. Certo, sulle prime ci siamo chiusi in casa e ci siamo uniti nella solidarietà, lasciando che i professionisti della politica e della scienza ci cavassero fuori dai guai. La nostra parte era non creare intralci, fare in modo da non aggiungere contagio a contagio, il nostro compito era non esistere, non rivendicare comportamenti umani, chiuderci nelle caverne. Certo, caverne dorate con tanto di playstation, netflix e speen bike, ma sempre di caverne si trattava. Il Governo è stato rassicurante, allora. Era il tempo della lotta col virus e la promessa della vittoria vicina.
Ma il Governo aveva solo il piano A, quello del lockdown, e quel piano non ha funzionato. Così, la narrazione successiva è diventata la “convivenza col virus”, il tenerlo a bada secondo un meccanismo di disciplinamento dei comportamenti. Per convivere, però, si sa, bisogna essere in due. E il virus non c’è stato. Ha continuato a circolare tra di noi, si è infilato nelle metropolitane, ha aspettato che il clima cambiasse, che lo smog prendesse nuovamente il suo posto, che tornassimo a lavorare. Perché, diciamocelo, in una grande metropoli pensare di confinare il virus con mascherina e distanziamento sociale probabilmente è impossibile.
Così è tornato il lockdown, ma stavolta il dispositivo della rassicurazione non ha funzionato poiché le promesse fatte in precedenza non sono state mantenute, perché se il parametro del lockdown diventa la tenuta del sistema sanitario allora emergono le responsabilità di chi quel sistema sanitario lo ha distrutto, perché ci si rende conto che non è più solo il virus ad ammazzare, ma anche la distruzione del welfare, perché il virus ha cominciato ad occupare anche gli spazi delle altre malattie, perché tra prima e seconda ondata non ci si è attrezzati a reggere l’urto. Di conseguenza è’ arrivato il tempo delle piazze, alcune violente, in generale indignate, piazze tutte locali, senza soggetti politici o sindacali in grado di governarle, piazze contraddittorie, dove si mescolano mille interessi non sempre convergenti, piazze necessarie.
Adesso che l’inverno sta arrivando, adesso che la barriera è crollata, il sistema in cui siamo vissuti nell’attesa della catastrofe si sta rivelando incapace di trovare una soluzione, di autoriformarsi, di affrontare le ragioni delle catastrofi. Eppure il sentimento prevalente è ancora quello del fastidio, come se fossimo stanchi di una cosa che non vuole decidersi ad andarsene, come quando piove e non puoi andare a giocare, come quando c’è lo scirocco e non puoi uscire dal porto, come quando devi rimandare le ferie perché tuo figlio ha la febbre. Adesso che l’inverno sta arrivando non c’è più nessuno a difenderci. Avremmo bisogno di Jon Snow, di Arya Stark, dei Bruti, ma saremo costretti a cercarli nelle piazze in rivolta.
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