Raul Zibechi definisce l’estrattivismo come “ … una forma di accumulazione fatta dal capitale finanziario, che domina attualmente nel Pianeta, attraverso l’appropriazione della natura e dei beni comuni”. In questo tipo di processo le popolazioni sono un intralcio all’estrazione del profitto. Il ponte sullo Stretto fa parte del tipo di opere definibili come estrattiviste, basate su una occupazione massiccia del territorio attraverso una diffusa cantierizzazione, per le quali si registrano forti interventi politici e normativi di carattere emergenziale, nonché l’utilizzo militare dell’infrastruttura e il controllo militare dei cantieri.
Osservato attraverso questa chiave di lettura il progetto di costruzione del ponte sullo Stretto appare sotto una luce nuova. Per certi versi viene meno anche la disputa scientifica sulla edificabilità dell’opera e anche la valutazione costi/benefici finisce per perdere gran parte della sua valenza. In generale, è il rapporto tra la tecnica e la politica che cambia direzione. Non è più la tecnica lo strumento della verifica di una ipotesi progettuale, ma è la politica, la decisione politica, il terreno sul quale si misurano i rapporti di forza tra gli interessi sociali e la tecnica diventa poco più che mero strumento di propaganda.
E se diventa quasi irrilevante il fatto che le opere debbano davvero essere completate oppure, meglio, il tempo della loro procrastinabilità risulta non verificabile, sono alcune categorie sociali a trarre profitto dalla mera attivazione dell’iter progettuale e dall’avvio della cantierizzazione. In primo luogo è alla Grande Impresa che viene ceduto il territorio. Essa, da questo punto di vista, ricava profitti dalla vita degli abitanti poiché ad essi è chiesto il sacrificio di vivere in spazi confinati, inquinati, sacrificati ai tempi delle lavorazioni. Sono i politici ad essere ripagati per farsi prima paladini di una promessa e poi gestori di un territorio compromesso. Sono alcune categorie professionali a trarre vantaggio dalle procedure collaterali alle cantierizzazioni. E’ questa la ragione per cui sono loro, il più delle volte, a finire per esser i maggiori agit prop dell’infrastruttura.
E’ così che il carattere estrattivista dell’opera genera conflitti, che attraversano la comunità, tra gli abitanti che subiscono l’impatto dei lavori e le categorie che vengono cooptate all’interno dell’iter di progettazione e costruzione al fine di dividere la popolazione. In questo tipo di conflitto le soggettività che si oppongono all’appropriazione del territorio assumono una posizione di non negoziazione con il dispositivo politico estrattivista e non potrebbero fare diversamente poiché ogni approccio compatibile finisce per diventare funzionale all’azione estrattiva.
Non c’è alcun dubbio che il conflitto che si generale abbia, in prima battuta, come tema gli aspetti ambientali, ecologici, paesaggistici. Questi sono spesso quelli più sentiti dagli attivisti che da subito si assumono la responsabilità di contrastare il processo. La salvaguardia della natura, il desiderio di goderne e di trasferirne ogni aspetto alle future generazioni, è una molla essenziale per l’attivazione dei movimenti di protesta, ma è la comprensione della spinta profondamente appropriatrice del territorio e della vita dei suoi abitanti ciò che fa diventare di massa l’opposizione. E la composizione dei due campi che si scontrano assume un carattere di novità, la alleanze sono spurie, diverse, ad esempio, dai conflitti che generalmente avvengono sul terreno del lavoro.
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